Avvertenza: Alcuni pazienti pervengono nei nostri centri dopo molti anni dall’intervento chirurgico o dal trauma subito ed a volte sono privi della documentazione clinico-sanitaria (cartella clinica o scheda di dimissione ospedaliera). In questi casi i dati sono in parte ricostruiti deducendoli dalla storia clinica dei pazienti.
(R. Angeli, Università di Milano – 2005)
Da questo studio emerge che il 53,28 % della perdita del bulbo è causato da un evento accidentale. Tra gli eventi accidentali il più frequente è l’incidente di gioco, che interessa il 21.68% del campione. Vengono poi gli infortuni sul lavoro (17.52%), gli incidenti domestici (15.12%), gli incidenti stradali (11.20%), incidenti generici indefiniti (18.84%) e gli incidenti di guerra (7.27%). Essendo una casistica che copre un lasso di tempo importante ritroviamo ancora casi che si riferiscono alle due guerre mondiali, fino ad arrivare alle guerre più recenti ed alle missioni di pace. Seguono i casi di incidenti con arma da fuoco (4.34%) e casi di esplosione con origine non bellica (3.25%), causati ad es. dall’uso improprio di fuochi pirotecnici, esplosione di batterie, ecc.
Si rileva dunque che la maggior parte degli incidenti avviene in casa, molto spesso giocando, oppure sul posto di lavoro. Non sono stati riportati solamente traumi contusivi o penetranti ma anche lesioni da sostanze chimiche come calce viva o solventi. Le ustioni con alcali come l’ammoniaca, la soda caustica e la calce che sono più diffusi in ambiente domestico e industriale rispetto agli acidi, costituiscono la causa più frequente. Gli acidi coinvolti con maggior frequenza sono il solforico, il solforoso, l’acetico, il clorico e l’idrocloridrico.
Tra le patologie le neoformazioni coinvolgono il 14,36% dei pazienti. Le più frequenti sono il melanoma della coroide e il retinoblastoma ma ci sono casi anche di metastasi oculari, di carcinomi squamocellulari ad estensione intraoculare, di meningiomi e di linfomi.
Alle “altre patologie” che riguardano complessivamente il 23,23% del campione esaminato, appartengono patologie slegate tra loro come il glaucoma (30.73%), le infezioni o infiammazioni endobulbari (24,37%) un esito chirurgico sfavorevole che ha provocato per esempio un’endoftalmite (14.26%), il distacco di retina, che molto spesso viene operato più volte per l’alta incidenza di recidive (13.01%) fino alle infezioni extrabulbari come le cheratiti perforanti (11,24%).
Dal momento che il database è molto ampio e copre un lasso di tempo notevole, si ha modo di ritrovare addirittura un paziente che negli anni ’20 del 1900 ha perso l’occhio per vaiolo (che ormai è stato dichiarato debellato). Si è ritrovato anche un caso di tifo, e alcuni casi di TBC oculare e di sifilide. Altre malattie rare riscontrate sono: il Morbo di Behcet, la Sindrome di Guillain Barré, la Sindrome di Stringer ed il Morbo di Besser.
Le patologie congenite interessano invece il 9.13% del campione. Il 42.73% di questi pazienti hanno riscontrato un microftalmo o un anoftalmo congenito, il 16.60% il glaucoma congenito, l’11.58% la cataratta congenita mentre il 29.10% altre patologie congenite. Tra queste: il Morbo di Recklinghausen, il Morbo di Goldenhar, il Morbo di Coats, Il Morbo di Von Hippel Lindau.
(Tratto da “La gestione del paziente anoftalmico”, Dr.ssa Raffaella Angeli – Università degli Studi di Milano “Bicocca”, relatore Prof. S. Miglior, Correlatore Dr.ssa M. Guareschi.)
(R. Angeli, Università di Milano – 2005)
Dall’analisi comparata delle cause che possono incidere in modo diverso sullo sviluppo di diverse condizioni cliniche del paziente (bulbo eviscerato, enucleato o subatrofico) emerge che gli eventi accidentali sono senza dubbio la causa preponderante in tutte e tre le condizioni cliniche. Incidono infatti per il 60% dei casi di enucleazione ed eviscerazione, e per il 50% dei casi di bulbo subatrofico.
Nei tre gruppi di pazienti la causa predominante sono l’incidente di gioco, l’incidente domestico e l’infortunio sul lavoro, seppur esistano piccole differenze. Infatti mentre l’incidente di gioco è responsabile prevalentemente di bulbi subatrofici (25.85%) rispetto alle enucleazioni (20.68%), l’infortunio sul lavoro è la causa prevalente di enucleazione.
Le neoformazioni, avendo un potenziale metastatico, risultano essere nettamente associate ad enucleazione. Solo in una minoranza dei casi sono associate a bulbi subatrofici (per esempio dopo radioterapia o brachiterapia) o addirittura eviscerati.
Le altre patologie riguardano circa il 20-30% delle cause totali. All’interno di questa classe si rileva che mentre il distacco di retina induce soprattutto la persistenza di un bulbo subatrofico, il glaucoma e le infezioni o le gravi flogosi endobulbari sono causa importante di eviscerazione ed enucleazione.
Dalla comparazione delle tabelle sopra riportate emerge che alcune cause portano nel tempo i pazienti alla comparsa di bulbo subatrofico o eviscerato o enucleato in ugual misura (incidente da arma da fuoco, o da taglio, o l’esplosione di un ordigno bellico).
Altre cause invece, sono in relazione prevalentemente ad uno specifico stato clinico. Si rileva quindi che il distacco di retina, soprattutto se recidivante e soprattutto se il paziente è stato sottoposto a diversi interventi chirurgici, dà origine prevalentemente a bulbo subatrofico (1,54% rispetto a 1,97% e 2,21%).
Al contrario, il glaucoma è causa di enucleazione ed eviscerazione (rispettivamente al 7,59 e al 9,27%) in una percentuale doppia rispetto alla presenza di un bulbo subatrofico (4,86%). Ciò può essere spiegato considerando che gli interventi di enucleazione od eviscerazione sono volti a risolvere il dolore provocato dal glaucoma. Il bulbo subatrofico, invece, è probabilmente il risultato di molteplici interventi chirurgici non andati a buon fine, condizione che anticipa l’intervento di enucleazione o eviscerazione. Rappresenta dunque nella maggior parte dei casi uno stadio di trattamento precedente.
Le infezioni o flogosi del bulbo, sia endobulbari che extrabulbari, sono causa in senso crescente di: bulbo subatrofico (rispettivamente di 4.71% endobulbari e 1.94% extrabulbari), di bulbo eviscerato (rispettivamente 9.13% e 3.60%) e di bulbo enucleato (rispettivamente 5.64% e 2.72%).
Gli esiti chirurgici sfavorevoli, considerandoli sia come “diretti” per incidente chirurgico o sue complicanze, sia per causa riflessa (ad es. un bulbo già seriamente compromesso che dopo l’intervento collassa), sono causa in ordine crescente di bulbo enucleato (2.65%), bulbo eviscerato (4.70%) e bulbo subatrofico (5.51%). Tra questi non sono stati considerati pazienti che hanno avuto una recidiva per distacco di retina.
Nell’ultima tabella sono confrontate la casistica del database DALPASSO con quella reperibile nella letteratura medico-scientifica.
Eventi Traumatici
Il trauma del bulbo oculare risulta essere la causa preponderante sia nella casistica DALPASSO (53,28%) sia negli studi di letteratura presi in considerazione (44,28%).
Tumori Oculari
Nella casistica DALPASSO emerge che le neoplasie sono causa di perdita del bulbo oculare in 1.535 pazienti su 10.690 (14.36%), circa la metà della percentuale in accordo con la media delle percentuali riscontrate in letteratura che è di 33,69%. Nell’articolo di Blaydon del 2003 e in quello di Christmas del 1998 emerge che i tumori oculari causa di enucleazione sono nella maggior parte dei casi il retinoblastoma e il melanoma della coroide. Nel primo articolo il retinoblastoma si rende evidente in 1 paziente su 121 (30 pazienti eviscerati e 91 enucleati) ed ha un’incidenza dello 0.8%. Nel secondo articolo, invece, Christmas lo riscontra nell’11.4% dei casi, cioè in 39 pazienti su 342.
Per quanto riguarda il melanoma della coroide, mentre Blaydon rileva 10 pazienti su 121 (8.2%), Christmas lo riporta in 104 pazienti (30.4%) del suo campione di 342 pazienti. Christmas riporta inoltre anche due casi di carcinoma squamocellulare ad estensione oculare.
La differenza elevata tra le due casistiche, sia per quanto riguarda i tumori sia le patologie congenite, può risiedere nel fatto che casistiche relativamente piccole come quelle prese in considerazione dalla letteratura possono risentire della specializzazione dell’ospedale a cui fanno riferimento. Un presidio ospedaliero che può essere punto di riferimento per le neoplasie avrà senza dubbio più casi di neoplasie rispetto ad un centro specializzato in malformazioni.
Patologie Congenite
Nella casistica DALPASSO le patologie congenite incidono per il 9,13% del totale dei pazienti, mentre l’incidenza riscontrata in letteratura è del 2,59% dei casi. Analizzando le patologie congenite nello specifico, si rileva che la patologia congenita più rappresentata nella casistica analizzata è senza dubbio il microftalmo o l’anoftalmo clinico congenito; questa percentuale sembra essere minore nei casi riportati in letteratura, anche se non è quantificabile dal momento che in essa non si ritrova il numero esatto di pazienti interessati. La differenza potrebbe essere spiegata dal fatto che la casistica dà un’idea dell’incidenza relativa delle singole patologie rispetto ad una popolazione generale non selezionata dalla specificità dei trattamenti ospedalieri. Questo è dimostrato per esempio dai dati relativi al glaucoma congenito. Esso infatti riguarda il 1,5% dei 10690 pazienti del database preso in esame. Tale proporzione riflette l’incidenza generale stimata di 1:10.000 nati. Dall’articolo di Blaydon si rileva invece un’incidenza relativa del 4,1%, interessando 5 pazienti su 121.
La cataratta congenita viene rappresentata nell’1% dei casi del database della DALPASSO, mentre non viene menzionata negli articoli presi in esame. Altre patologie congenite che si riscontrano nella casistica analizzata interessano il 2,6% del totale dei pazienti. A questo gruppo fanno riferimento le stesse patologie che vengono riscontrate in letteratura, più rari casi di sindrome di Peter e sindrome di Goldenhar. Blaydon (2003) riscontra 2 casi di fibromatosi (1.6%) e 5 casi di retinopatia del prematuro (4.1%) su un totale di 121 pazienti che hanno subito la perdita del bulbo oculare.
Christmas (1998) fa menzione di aver riscontrato, all’analisi istopatologica del bulbo oculare che era stato enucleato, alcuni casi di Malattia di Coats, di persistenza di corpo vitreo iperplastico e di microftalmo, senza tuttavia specificare il numero dei pazienti interessati.
Altre Patologie
A questo gruppo fanno riferimento una serie di altre patologie, di cui le più importanti sono il distacco di retina, il glaucoma e le infezioni endobulbari come le panoftalmiti e quelle extrabulbari come l’ascesso corneale.
L’incidenza relativa di questo sottogruppo di cause è simile in tutte le casistiche considerate, interessando il 23,23% dei pazienti appartenenti al database da noi analizzato e il 19.44% della letteratura.
In letteratura l’incidenza relativa complessiva del distacco di retina è del 5,6%, interessando 6 pazienti su 463 totali. Nella casistica DALPASSO, invece, è risultata essere del 3,02% (323/10.690).
Nell’articolo di Blaydon emerge che il glaucoma, (quello all’ultimo stadio, quello secondario ad occlusione della vena centrale della retina e quello facolitico) interessa complessivamente il 6.4% (29/463) dei pazienti. Nella casistica DALPASSO riguarda invece il 7,14% (763/10.690) del totale dei pazienti.
Anche le infezioni oculari possono essere causa di rimozione del bulbo o della sua enucleazione. Nella letteratura considerata si riscontrano 6 casi di endoftalmite, di cui i 3 che riguardano l’articolo di Blaydon del 2003 sono state causate rispettivamente da: CMV, Toxoplasmosi e Toxocariasi. Si sono registrati inoltre 3 casi di ulcera corneale. Complessivamente sono 9/463 e riguardano quindi l’1,94 % dei pazienti riportati.
Nella casistica Dalpasso, invece, le infezioni extrabulbari rappresentano il 2.6 % (279/10.690) delle cause totali di perdita del bulbo, mentre le infezioni endobulbari rappresentano il 5.6 % (605/10.690). In totale, quindi, le infezioni rappresentano circa l’8% dei pazienti.
Sebbene complessivamente si registri una differenza significativa dell’incidenza relativa delle infezioni in letteratura rispetto alla casistica analizzata, tuttavia si può notare come sia stata conservata la proporzione esistente tra le infezioni extrabulbari ed endobulbari. Quelle endobulbari sono 1/3, mentre quelle esobulbari sono i 2/3 sul totale delle infezioni riscontrate.
(Tratto da “La gestione del paziente anoftalmico”, Dr.ssa Raffaella Angeli – Università degli Studi di Milano “Bicocca”, relatore Prof. S. Miglior, Correlatore Dr.ssa M. Guareschi.)
(R. Angeli, Università di Milano – 2005)
Gli stati clinici del paziente che consentono l’inserimento degli impianti sono la presenza di una cavità vuota e la presenza di un bulbo eviscerato. Dallo studio si evidenzia che nella maggior parte dei casi sia i bulbi eviscerati che le cavità prive di bulbo sono state lasciate senza impianto (rispettivamente nel 72,75% e nel 73,14% dei casi).
Dal momento che la prima tabella non distingue l’utilizzo degli impianti in relazione al tempo, comprendendo essa un periodo di oltre 50 anni di storia, si potrebbe giustificare l’assenza dell’impianto in un numero così grande di casi, dal fatto che in passato non fosse presente una prassi riabilitativa del paziente anoftalmico. In passato si dava infatti più peso alla riabilitazione funzionale e anche quando essa non era possibile, si tralasciava la riabilitazione estetica e sociale del paziente.
Nella seconda tabella si evidenzia la distribuzione temporale degli impianti tra prima o dopo il 1990. Sebbene l’assenza dell’impianto interessi la maggioranza dei pazienti, si registra un’inversione di tendenza. Infatti, i pazienti senza impianto prima del 1990 erano l’88.55% (85,28% nei bulbi enucleati e 91,82% nei bulbi eviscerati) mentre dopo il 1990 risultano essere intorno al 64.95% (62,25% nei bulbi enucleati e 67,65% nei bulbi eviscerati). Questo dimostra la sempre maggior consapevolezza di poter trattare con successo i pazienti anoftalmici e la maggior attenzione che viene data attualmente alla riabilitazione anche estetica del paziente.
Il fatto che in ogni caso la mancanza dell’impianto risulta interessare la maggior parte dei pazienti potrebbe dipendere da varie concause. Da parte della classe medica c’è senza dubbio un generale scarso interesse per la sindrome della cavità vuota e delle modalità chirurgiche con cui si può parzialmente risolvere.
D’altra parte occorre tener presente che questi dati provengono da un database compilato da personale paramedico, che non ha cioè seguito in prima persona l’iter terapeutico chirurgico del paziente ed inoltre i dati di cui dispongono vengono riportati o attraverso la documentazione medica scritta, o attraverso il dialogo diretto con il medico curante oppure sono riferiti direttamente dal paziente. Se uno o più di questi mezzi risultano essere deficitari, ne risulta una raccolta di dati incompleta e parzialmente non concordante alla realtà.
Si analizzano ora i tipi di impianto e le percentuali riferite al loro utilizzo.
In base allo stato clinico del paziente
Per quanto riguarda i bulbi eviscerati, si è preferita la forma sferica che meglio si adatta all’escavazione della sclera. Non ci sono infatti casi recenti in cui sono stati utilizzati impianti semi-integrati di Allen o il cestello in polietilene.
Interessante è notare il riscontro di 6 impianti di Fox, costituiti da sfere d’oro. L’impianto di Fox è uno degli impianti più antichi, che ha lasciato sicuramente un segno nella storia del trattamento del paziente anoftalmico.
Per quanto riguarda la cavità priva di bulbo, in seguito all’enucleazione, invece, si sono sperimentati impianti dalla forma e dal materiale più diversi. Da quello di Allen fino al più recente impianto di Guthoff.
In base alla distribuzione temporale
In questa tabella invece è descritta la variabilità dell’utilizzo degli impianti nel tempo anche in relazione allo stato clinico del paziente, cioè di bulbo eviscerato o enucleato. Prima di analizzare la tabella è giusto far notare che il totale complessivo non è più 10.690. Il totale non si riferisce infatti al numero dei pazienti, ma al numero totale di impianti inseriti; bisogna tener presente, inoltre, che ad un paziente possono corrispondere più impianti, perché i pazienti possono aver sostituito il loro impianto nel tempo, per esempio dopo esposizione, estrusione o infezione.
L’evidenza più importante è la comparsa degli impianti porosi (idrossiapatite, Medpor e Guthoff) a partire dagli anni ’90. Prima del 1990, infatti, la casistica presa in esame riporta l’inserimento di 10 impianti di HA ed uno di Medpor in pazienti che avevano subito un’enucleazione e di un impianto di HA in un bulbo eviscerato.
A partire dal 1990 invece, il loro utilizzo è nettamente in aumento. Troviamo infatti 339 pazienti enucleati con HA, 25 con Medpor e 7 con impianto di Guthoff; tra i pazienti eviscerati troviamo 55 impianti di HA e 14 in Medpor.
Contemporaneamente si assiste alla diminuzione relativa dell’utilizzo degli impianti non porosi presi globalmente. Analizzando l’andamento degli impianti non porosi nel tempo si riscontra che gli impianti non porosi non sferici hanno subito una drastica diminuzione (l’impianto di Strampelli da 26 a 2 casi, l’impianto di Bangerther da 69 a 53 casi o il cestello in polietilene da 76 a 44), mentre quelli sferici sono in assoluto i più utilizzati. Gli impianti in silicone e quelli in PMMA sembrano infatti registrare un’inversione di tendenza. Il silicone passa da 18 a 178 casi (da 0,3% a 5% circa), mentre il PMMA da 282 a 580 (dal 5.7% al 13% circa).
Questo dato potrebbe essere spiegato dal dibattito attualmente in atto sulla valutazione di quale sia l’impianto che garantisca il miglior risultato motorio e il minor grado di complicanze. Molti sottolineano infatti la convenienza di impiantare un impianto non poroso a basso costo con una percentuale di complicanze a lungo termine che sono più basse rispetto agli impianti porosi e con un grado di movimento pari a quello di un impianto poroso senza perno.
Per quanto riguarda gli impianti di Allen, non porosi e semi-integrati, sebbene la percentuale di utilizzo sia decrementata (dal 6.39% al 6,33% tra pazienti enucleati) conserva tuttavia il suo ruolo e la sua importanza. Infatti con le moderne tecniche chirurgiche che tendono a posizionare l’impianto in profondità al di sotto della capsula di Tenone e la collaborazione del protesisti si può assicurare al paziente il mantenimento di una buona motilità protesica ad un costo relativamente basso e con una percentuale di complicanze paragonabile a quella degli altri impianti non porosi.
(Tratto da “La gestione del paziente anoftalmico”, Dr.ssa Raffaella Angeli – Università degli Studi di Milano “Bicocca”, relatore Prof. S. Miglior, Correlatore Dr.ssa M. Guareschi.)
(R. Angeli, Università di Milano – 2005)
Dal confronto della casistica DALPASSO con quella dell’ASPORS (American Society of Ophthalmic Plastic and Reconstructive Surgery) si evidenziano alcune differenze. Mentre l’Aspors utilizza prevalentemente impianti porosi (Medpor 42.5% e Idrossiapatite circa 26.6% sia per i pazienti eviscerati sia per quelli enucleati), la casistica DALPASSO evidenzia un utilizzo di tali impianti molto più scarso. Nei pazienti enucleati si è infatti utilizzata una sfera in idrossiapatite nel 24.8% dei casi ed in quelli eviscerati nel 33.3% dei casi, mentre il Medpor sembra essere stato veramente poco utilizzato (solo nell’1.8% dei pazienti enucleati e nell’8.5% di quelli eviscerati.)
Al minor utilizzo degli impianti porosi corrisponde un maggior utilizzo di quelli non porosi. Nella casistica DALPASSO, tra i pazienti enucleati è stato utilizzato il silicone nel 10.8% dei casi e il PMMA nel 38.1% mentre tra i pazienti eviscerati si è utilizzato il silicone nel 18.2% dei casi e il PMMA nel 36.4%. I membri dell’Aspors, al contrario, non facendo distinzione tra silicone e Medpor, utilizzano impianti non porosi per enucleazioni nel 19,9% dei casi e per enucleazioni nel 25,7% dei casi.
Complessivamente quindi i dati da noi analizzati rivelano che la tendenza italiana negli ultimi decenni è stata quella di utilizzare impianti non porosi nella maggior parte dei casi.
Il cut-off scelto nell’analisi dei dati della casistica DALPASSO, per dividere nel tempo gli impianti utilizzati in due periodi storici, prima e dopo il 1990, ha permesso di valutare l’importanza degli impianti porosi nella storia evolutiva degli impianti orbitari.
Nonostante infatti gli impianti non porosi siano prevalenti, si è registrato un netto incremento degli impianti porosi. Sono dunque stati presi seriamente in considerazione come valida alternativa a quelli non porosi.
La scelta del cut-off, tuttavia, limita la nostra capacità di analisi del trattamento dei pazienti in riferimento agli ultimi anni. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui dal confronto dei dati emerge una percentuale di utilizzo minore degli impianti porosi rispetto ai non porosi.
Il trattamento della cavità anoftalmica dopo enucleazione o eviscerazione primarie attualmente è diretto verso l’utilizzo di materiali porosi, in particolare del Medpor, non ricoperti e senza il posizionamento di un perno. Gli impianti porosi erano stati prospettati come in grado di garantire una maggior mobilità della protesi anche in assenza di posizionamento del perno e in grado di ridurre la percentuale di complicanze gravi quali l’estrusione e l’infezione dell’impianto. Sono quindi stati compiuti numerosi studi in letteratura che mettessero in luce i vantaggi e gli svantaggi degli impianti porosi.
Si è dimostrato che essi garantiscono un movimento paragonabile a quelli non porosi quando non dotati di perno, mentre se dotati di perno migliorano nettamente il movimento dato alla protesi. Addirittura si è sperimentato l’utilizzo di impianti con doppio perno.
Durante le sperimentazioni molte complicanze si sono rese evidenti. Alcuni studi suggeriscono che la percentuale di esposizione degli impianti porosi è simile alla più alta incidenza di esposizione riportata per gli impianti di Allen, per le sfere acriliche (PMMA) e quelle in silicone. Qualche autore ha addirittura fatto esperienza di una incidenza significativamente più alta di complicanze con impianti di HA e PP.
La scelta di non ricoprire l’impianto riduce la spesa associata al suo posizionamento, i tempi intraoperatori e la morbilità operatoria dal momento che evita l’interessamento di un secondo sito chirurgico nei casi in cui si è deciso di ricoprire gli impianti con tessuti autologhi. Questa scelta potrebbe inoltre facilitare la vascolarizzazione, ridurre il rischio di una reazione da corpo estraneo e causare infezioni. Potrebbe inoltre essere correlata ad una bassa incidenza di complicanze precoci.
L’inserimento del perno aumenta anche esponenzialmente non solo l’incidenza di complicanze ma anche i costi terapeutici poiché si sommano le spese dei materiali (non solo dell’impianto e del perno ma anche dei materiali di ricoprimento, quelle legate ad una seconda operazione, alla RM o scintigrafia necessaria per la valutazione del grado di fibrovascolarizzazione dell’impianto, la spesa per la cura delle complicanze ad esso associate e per il confezionamento di una protesi su misura che andrà ad essere modificata dopo l’inserimento del perno).
I materiali non porosi, compresi quelli semi-integrati come l’Allen, hanno dimostrato nello stesso tempo di avere una minor incidenza di complicanze a lungo termine. Oltre ad essere più economici, quindi, sono anche più sicuri.
Il dibattito attuale verte dunque sulla effettiva convenienza a posizionare impianti porosi in un paziente che non ha intenzione di inserire il perno.
In un’epoca in cui le scelte terapeutiche devono esser calibrate anche sulla base delle risorse a disposizione, non solo da parte del paziente ma anche della struttura sanitaria con la quale si collabora, la tendenza che si sta sempre più affermando è quella di riservare questi impianti a pazienti giovani che desiderano una motilità protesica ottima e che sono quindi determinati a posizionare il perno e ad investire sia in termini e economici, sia di tempo, nella gestione di eventuali complicanze associate.
Un impianto non poroso, ricoperto di sclera potrebbe invece essere l’impianto ideale nei pazienti più avanti con l’età e per coloro che vogliono ridurre al minimo ulteriori azioni terapeutiche.
(Tratto da “La gestione del paziente anoftalmico”, Dr.ssa Raffaella Angeli – Università degli Studi di Milano “Bicocca”, relatore Prof. S. Miglior, Correlatore Dr.ssa M. Guareschi.)